Rionero in Vulture 09 ottobre 2008 alle 09:33:00
Con il federalismo fiscale in itinere assume particolare rilevanza la tematica sulle acque minerali da intendersi come risorsa di pubblico interesse.
Nel nostro ordinamento regionale vi sono due leggi: quella del 02 Settembre 1996 nr. 43 e quella del primo Marzo 2005 nr. 21 che disciplinano la materia. Giova rilevare che già nel passato la Corte costituzionale se ne occupò in modo approfondito con la sentenza del 16 marzo 2001 nr. 65 considerando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia a proposito dell’art. 4, comma 21, lettera C) della legge regionale della Lombardia del 27 gennaio 1998 che modificava l’art. 22 della legge regionale della Lombardia del 29 Aprile 1980 nr. 44 nella parte in cui prevedeva una indennità accessoria per lo sfruttamento in concessione di acque minerali.
La sentenza che si commenta è importante perché la Consulta, in riferimento al Decreto legislativo del 27 Luglio 1927 nr. 1443, prendendo spunto dal caso di specie, fissò un principio fondamentale tuttora valido che è quello secondo cui con l’entrata in vigore dell’art. 117 cost., si è verificata una scissione della materia “MINIERE” in due ambiti di attribuzioni: quello delle acque minerali e termali che forma oggetto di competenza legislativa concorrente soggetta al limite dei principi fondamentali risultanti, in assenza di apposita legge cornice, dalla legislazione statale vigente e quello delle miniere e delle risorse geotermiche, oggetto di competenza esclusiva dello Stato , in relazione al quale le regioni esercitano oggi soltanto funzioni delegate.
(L'Assessore Giovanni Alfredo Chieppa)
Afferma, inoltre, la Corte Costituzionale che nella materia delle acque minerali e termali il principio fondamentale che funge da limite alla potestà legislativa concorrente della regione deve essere colto ad un livello di maggiore astrattezza rispetto alla regola positivamente stabilita nel citato art. 25 del decreto del 1927 in riferimento ai beni minerari in genere, tenuto anche conto delle intrinseche peculiarità delle coltivazioni delle acque minerali per le quali il solo criterio superficiario può in concreto risultare sproporzionato per difetto rispetto al beneficio economico che il concessionario trae dallo sfruttamento della risorsa pubblica.
Dice, sempre, la Corte che stante il principio testè menzionato, se ne ricava che il canone di concessione deve essere commisurato alla quantità di acque prelevate ed imbottigliate dal concessionario.
Non è necessaria una uniformità di regime economico a livello nazionale e sopranazionale onde impedire che autonomi interventi regionali producano sfasature nella libera concorrenza e nella circolazione dei beni e delle merci nel mercato europeo. Il principio del libero scambio è ,infatti, mal invocato di fronte a linee di indirizzo, di cui anche le Regioni possono essere interpreti nelle materie di loro competenza, intese a non deprimere il valore delle risorse naturali che costituiscono patrimonio pubblico.
Ciò detto, si sbrighi la Regione Basilicata, a mezzo dell’Assessore all’Ambiente, ad organizzare un tavolo di lavoro tra tutte le parti interessate: Comuni dell’area del Vulture –Melfese, concessionari e sindacati, per modificare la legge regionale nr. 21 sopra menzionata e creare ulteriori condizioni di sviluppo per l’area interessata. Sulla scorta di quanto detto, va affermato il principio che i canoni e le somme possono essere aumentati sul presupposto che l’acqua è un bene pubblico esauribile e che il bacino idro-minerario necessita di costi di manutenzione elevati ed è giusto che chi lo sfrutta partecipi alla sua tutela e conservazione.
L'Assessore alle Attività Produttive ed alla Vivibilità Urbana
Avv. Giovanni Alfredo CHIEPPA
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